“Senza pubblico c’è poco da festeggiare!” Intervista con Federico Longhi
a cura di Madina Karbeli
- Siamo già al secondo lockdown e le attività teatrali sono praticamente tutte annullate. Secondo te, come si può sopravvivere in un ambiente così?
L‘artista può sopravvivere a livello economico, se è fortunato. Se ha lavorato e ha risparmiato può andare avanti con la vita normale senza spendere e spandere. Sopravvivere, non vivere! Da un punto di vista psicologico può essere più difficile, perché un artista vive quando canta, quando viaggia, vive quando incontra il pubblico: quando può esercitare la sua professione. Per un po‘, com’è successo durante il primo lockdown, ti riposi: io arrivavo da un lunghissimo periodo molto impegnato, era anche necessario! Ma poi… Sono stato fortunato, perché appena hanno riaperto i teatri, il 15 di giugno ho avuto il mio Rigoletto, i concerti in Germania, tante masterclass, per carita! Non posso lamentarmi! Ho lavorato sino al primo giorno di lockdown: ho finito la mia masterclass a Milano settimana scorsa. Da adesso, chi può saperlo: si sopravvive confidando nella fortuna! Io vivo in un paese piccolo, c‘è la natura, ci sono le passeggiate e i boschi. Posso godermi i colori dell‘autunno. Cerco nel poco, cerco nel semplice la bellezza; non nel canto, non nelle produzioni, o nella voce, né in quello scambio energetico tra colleghi e con il pubblico. Cerchiamo il bello nel quotidiano.
- Guardando al futuro?
Anche il futuro è ipotetico! I teatri sono chiusi al pubblico. Alcuni teatri, che erano già in produzione, hanno rispettato gli artisti impegnati e hanno scelto di andare avanti e trasmettere gli spettacoli in streaming. L’altro giorno ho seguito lo streaming di Suor Angelica da Sassari. Quando è finita la rappresentazione: un silenzio! Ma perché non hanno messo uno speaker che dicesse almeno qualcosa come: “Signore e signori, grazie! Abbiamo trasmesso Suor Angelica, ricordiamo gli interpreti, l’orchestra…”? Invece, un gelo!
- Potrebbe essere un gesto simbolico per dire che così non si può andare avanti!
Si, è anche voluto! Perché comunque dai il segnale che senza pubblico non si può continuare e che c’è poco da festeggiare. Lo sai, quando finisci la recita è un grande momento: quello degli applausi! Ed ora, un gelo! Un silenzio!!! Noi abbiamo cantato, ma così non possiamo andare avanti! Dopo la trasmissione di Suor Angelica ho scambiato due chiacchIere anche con la mia amica Giovanna Lanza che cantava lì e mi ha detto: “Dopo la recita noi siamo tutti scoppiati in un grande pianto!”. Ed io, come spettatore, sono rimasto sul divano con la gola stretta. Alcune persone mi dicono che è meglio fare lo streaming piuttosto che non fare nulla. Però io mi dico, che segnale diamo noi? Ci accontentiamo e facciamo di tutto pur di fare qualcosa, è un bel segnale questo?
- Questa è una la domanda più polemica, che faccio in tutte le interviste: si può sostituire lo spettacolo visto in un teatro, dal vivo?
Ecco, giusto! L’ultimo spettacolo che ho visto dal vivo era quello di Stabat Mater a Novara. Con poca gente, ma lì si poteva ancora scambiare l’energia, c’era l’entusiasmo, c’era la condivisione! Bellissimo spettacolo, emozionante! Lo streaming è giusto per gli artisti, per farli lavorare, perché possano andare avanti, essere pagati. Ma c’è anche altro problema: ormai dappertutto ci chiedono di abbassare il cachet perché non c’è pubblico. Non c’è bigliettazione: ma quando mai noi siamo andati a prendere le royalty dal botteghino? Non vorrei arrivare ad un certo punto quando ci diranno: “però, a voi è andato bene anche lavorare anche con metà cachet! Allora, andiamo avanti così”.
- Quindi, pensi che stiamo rovinando il nostro business, stiamo svalutando la nostra professione?
Si, e anche la nostra qualità artistica! Perché noi siamo artisti, noi siamo abituati ad esprimerci sul palcoscenico, liberamente. E adesso? Con un plexiglass davanti, con i microfoni dello streaming. Tanto studio sulla voce, sulla tecnica, sull’emissione naturale… Tutto ora perde senso, tutto completamente distorto!
- So che come tanti altri artisti anche tu hai perso molti impegni importanti in questo periodo: qual’é la più grande perdita per te?
Da marzo in poi avrei dovuto tornare ai miei appuntamenti esteri. Rigoletto e Il trovatore, due bellissime produzioni a Linz e a Würzburg; avrei continuato con Roberto Devereux a Palermo, Lucia Lammermoor a Nizza. Da giugno ho avuto la fortuna di riprendere con alcuni impegni.
- Ecco, ci sono stati anche impegni inaspettati, giusto? Come quello di Rigoletto a Parma…
Si, questo è stato un bellissimo regalo dopo i mesi del silenzio: poter debuttare Rigoletto a Parma, nelle terre Verdiane. È stata veramente una grande occasione inaspettata!
- Come era la messa in scena dello spettacolo con tutte le restrizioni sanitarie?
Abbiamo rispettato tutte le norme, ho fatto tutti gli esami. Poi: misurazione della febbre, mascherine, disinfettante… e a parte questo, era una regia completamente “covid”, il che significa: mai avvicinarsi, mai abbracciarsi, mantenere le distanze. Un bellissimo lavoro del Maestro Catalano, che a livello registico ha trovato soluzioni molto interessanti con le luci, gli effetti… Una bellissima mise en scene, con meno movimenti, ma la musica di Verdi nessuno l’ha toccata! Dall’inizio alla fine, tutto quello che Verdi ha scritto. Devo dire che a volte, troppe scene, troppi costumi, troppi cambiamenti portano via un po’ l’attenzione dalla musica. Questa volta veramente NO!
- Hai fatto anche tanti concerti, che sono un poco più facili da organizzare malgrado tutte le restrizioni per il covid, ma si può sostituire il teatro con le rappresentazioni in forma di concerto per esempio?
No! assolutamente NO! In estate dovevo debuttare Nabucco a Erfurt, un opera così stupenda, così grande, così importante dal punto di vista scenico e vocale! L’hanno dovuto sostituire con un gala-concerto, il che è un bellissimo gesto, perché abbiamo lavorato. Abbiamo fatto un bel concerto, il pubblico era felice, il livello musicale è stato alto! Ma vestito con lo smoking, con il microfono, all’aperto, fermo… Cercavo di dare una parvenza di interpretazione, ma non potevo neanche sbracciare perché sembri un pinguino sullo scoglio! No, no… noi amiamo recitare! Sono uno che si butta a terra, va in ginocchio, cerco di dare tutto! Sono felice di aver lavorato, ho guadagnato, ho portato avanti la musica! I concerti erano tutti sold out, c’è stato un bellissimo scambio energetico con un pubblico, ma uno “spettacolo” è altra cosa!
- Una grande parte del tuo tempo la dedichi ai tuoi studenti. Ho visto che in questo periodo hai fatto tante masterclass e lezioni anche online. Secondo te funziona studiare a distanza?
Ho insegnato online anche durante il nostro primo lockdown. L’ho fatto perché me l’hanno chiesto. E durante tutto il periodo non ho chiesto neanche il pagamento. Ho fatto così, en amitié! Siamo in emergenza e si fa! Anche da un punto di vista psicologico, serve! Due volti amici! Si canta, si parla di musica! Lo studio funziona, diciamo al 50/50. Ascoltando con un computer o un telefonino è difficile; il suono arriva in ritardo, non puoi giudicare tante cose: il fiato, il volume. Non c’è scambio emotivo. Con le persone che già conoscevo ha funzionato perché già vedendo la postura del viso capisco cosa non va bene.
- Tornando ad un quadro più ampio inerente la nostra realtà, prima o poi la pandemia dovrà finire, che ne sarà dell’opera lirica?
Come nella vita in generale niente tornerà come prima, soprattutto per noi artisti. Già eravamo in crisi; in Italia abbiamo grandi problemi anche legali con i teatri che sono pieni di debiti, e problemi anche da un punto di vista artistico! Come scrisse la grande giornalista Aspesi del primo lockdown: “ne usciremmo tutti più incattiviti”, ed é purtroppo vero! Siamo in guerra, morte tua vita mia. Già di quel poco lavoro che è stato creato quest’estate: chi ha lavorato? Ovviamente anche li c’è un incattivimento assurdo!
- Ci saranno tante vittime: gente caduta per la malattia, gente che ha perso il lavoro, molti dovranno cercare altre strade, altri mestieri…
Esatto! E ci sono già state! Seguendo tanti giovani, posso già fare il conto su due mani di quante persone non hanno lavorato dallo scorso febbraio, questo fa paura.
- Lo Stato ha fatto qualcosa per sostenere queste persone, così come hanno fatto in Germania, Austria, Svizzera…?
Qualcosa giustamente hanno fatto, ovviamente mettendo tanti limiti. Non abbastanza per dare almeno il minimo per sopravvivere. Io sono stato fortunato, in Valle d’Aosta sono praticamente solo io il cantante lirico, il Governo ci ha dato un sostegno, ma nel resto del Paese purtroppo si è fatto poco.
- Concludiamo con una domanda che apre alla speranza: nel tuo percorso di artista hai mostrato un grande coraggio e capacità di crescita. Dal mio punto di vista anche il covid rappresenta una lezione, molto dura… cosa si può imparare in questo momento?
Si spera che la malattia abbia insegnato qualcosa, si spera che passata la pandemia andremmo avanti più sanificati. Qualcosa che non ho mai perso è la voglia di studiare, la voglia di crescere, migliorare. Ultimamente ho fatto tante masterclass, erano tutte al completo. I cantanti giovani e meno giovani sono ancora pieni d’entusiasmo, pronti a migliorarsi, mettersi in discussione, comunque e sempre “avanti tutta” il futuro ci attende!
09 novembre 2020