TEATRO ALLA SCALA: Andrea Chénier – Umberto Giordano, 27 maggio 2023 a cura di Nicola Salmoiraghi
ANDREA CHÉNIER
Umberto Giordano
Dramma di ambiente storico in quattro quadri
Libretto di Luigi Illica
Direttore Marco Armiliato
Regia Mario Martone
Personaggi e interpreti:
- Andrea Chénier Jonas Kaufmann
- Carlo Gérard Amartuvshin Enkhbat
- Maddalena di Coigny Sonya Yoncheva
- La mulatta Bersi Francesca Di Sauro
- La contessa di Coigny Josè Maria Lo Monaco
- Madelon Elena Zilio
- Roucher Ruben Amoretti
- Fléville Sung-Hwan Damien Park
- Fouquier Tinville Adolfo Corrado
- Matthieu Giulio Mastrototaro
- Un incredibile Carlo Bosi
- L’abate Paolo Nevi
- Schmidt/Il maestro di casa Li Huanhong
- Dumas Emidio Guidotti
Scene Margherita Palli
Costumi Ursula Patzak
Luci Pasquale Mari
Coreografia Daniela Schiavone
Teatro alla Scala, 27 maggio 2023
Repetita iuvant. Sono tornato alla Scala per l’ultima recita di Andrea Chénier con un cast all stars e devo dire che ne è valsa assolutamente la pena. Teatro gremito dove non entrava uno spillo ed entusiasmo da stadio per la triade dei protagonisti Jonas Kaufmann-Sonya Yoncheva-Amartuvshin Enkhbat.
Non tornerò su spettacolo, direzione, Coro e altri interpreti su cui ho già scritto (ma tutto mi è sembrato ancora migliore, più compatto ed omogeneo, e l’allestimento di Martone acquista valore ai miei occhi ad ogni nuova visione) ma tre incisi (e tre aggettivi) me li permetterete: Elena Zilio è non meno che strepitosa nei panni della vecchia Madelon, 82 anni, sei decenni di carriera e un concentrato di emozione e teatro, indimenticabile; quando si ha disposizione il re dei comprimari qual è Carlo Bosi (Incredibile) ogni ruolo diventa un piccolo gioiello cesellato in perfetto equilibrio di musicalità e interpretazione, insostituibile; mi fa piacere aver ritrovato in Giulio Mastrototaro l’artista che conosco e stimo (evidentemente in condizione fisica non ottimale alla recita dell’11 maggio che avevo visto in precedenza), questa volta assolutamente a fuoco e convincente come sanculotto Mathieu, indomabile.
Jonas Kaufmann è tornato dopo un po’ di assenza alla Scala come protagonista di un’opera e ha dimostrato che non si è Kaufmann senza motivo. Lasciamo stare i soliti discorsi senza costrutto sulla tecnica e l’emissione del tutto particolari (che per lui funzionano e tanto basta) o su certi attacchi falsettanti (“Ora soave”) non immacolati; cosa contano se poi l’artista è sommo e il cantante trascinante? Non c’è una frase, una parola, un accento che non siano “interpretati” da un tenore che è anche carismatico attore. L’ “Improvviso” conquista per varietà d’intenzioni, “Sì fui soldato” è di bruciante verità, “Come un bel dì di maggio” miniato a dovere, e nel duetto finale “Vicino a te s’acqueta” fuoco alle polveri, con acuti svettanti e potenti, in gara di bravura con il soprano. Si vorrebbe che il panorama del melodramma pullulasse di tenori come Kaufmann. Ogni sua nota, anche quelle che magari meno convincono l’ascoltatore “purista”, contengono la caratura di una personalità vocale che ha pochi eguali.
Sonya Yoncheva non mi è mai parsa brava come in questa Maddalena. Voce piena, pastosa, sicura in tutti i registri, dalle screziature brunite e sensuali, interprete appassionata e intensa. Ogni suo intervento ha ribadito l’autorevolezza di una cantante che, soprattutto quando è in serata di forma esaltante come questa, è tra le migliori di oggi. “La mamma morta”, conclusa con una smagliante puntatura acuta fuori ordinanza, che tanto dispiace ai nasini arricciati e a me invece, se eseguita così bene, non dispiace affatto, ha trascinato il pubblico all’entusiasmo, e nei duetti con Kaufmann, il confronto elettrizzante di due simili talenti si è risolto in una sana competizione tra pari per certi versi inebriante.
E infine (ma probabilmente andava messo in testa), lo strepitoso Carlo Gérard di Amartuvshin Enkhbat; questo cantante, ad ogni nuovo ascolto, appare sempre incredibilmente in crescita e mi sbilancio nell’affermare che è probabilmente la più importante voce baritonale del momento. Un torrente di suono omogeneo e bellissimo che riempie la sala con il suo volume impressionante, governato da una tecnica ferratissima: appoggio sul fiato, emissione perfetta, scolpitura dell’accento; in più Enkhbat sempre più affina fraseggio ed interpretazione. Io un “Nemico della patria” così in teatro non l’avevo mai ascoltato. L’uragano di applausi seguito è durato a lungo anche con insistite richieste di bis, però non concesso. Pare che il pubblico della Scala abbia consacrato una nuova stella tra i suoi beniamini. Meritatamente.
Del successo trionfale si è detto, non ci si stancava di acclamare tutti gli artefici dello spettacolo e una volta ancora un’opera come Chénier ha ricordato, soprattutto se così resa, di essere tassello irrinunciabile del nostro repertorio.
Nicola Salmoiraghi