TEATRO ALLA SCALA: Don Pasquale – Gaetano Donizetti, 17 maggio 2024 a cura di Nicola Salmoiraghi
DON PASQUALE
Dramma buffo in tre atti
Libretto di Giovanni Ruffini
Revisione secondo la partitura autografa a cura di Piero Rattalino
Edizioni Casa Ricordi, Milano
Direttore EVELINO PIDO’
Regia DAVIDE LIVERMORE
Personaggi e Interpreti:
- Don Pasquale Ambrogio Maestri
- Norina Andrea Carroll
- Ernesto Lawrence Brownlee
- Malatesta Mattia Olivieri
- Un notaio Andrea Porta
Scene DAVIDE LIVERMORE E GIÒ FORMA
Costumi GIANLUCA FALASCHI
Luci NICOLAS BOVEY
Video D-WOK
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Produzione Teatro alla Scala
Teatro alla Scala, 17 maggio 2024
Fu proposto per la prima volta nel 2018, ed ora è tornato sul palcoscenico del Piermarini l’allestimento del capolavoro donizettiano Don Pasquale, con la regia di Davide Livermore, autore delle scene con Giò Forma, i costumi di Gianluca Falaschi, le luci di Nicolas Bovey e i video di D-Wok.
Livermore ha trasportato la vicenda nella Roma della Dolce vita e del cinema, con chiara ispirazione all’età d’oro della commedia all’italiana e al neorealismo rosa, con riferimenti anche all’universo felliniano. L’opera si apre con il funerale della madre di Don Pasquale, proterva e castratrice di ogni velleità erotico-sentimentale del goffo figliolo, qui rappresentata con un’iconografia che la riconduce alla mitica Tina Pica, impagabile caratterista del cinema italiano di quegli anni. Quest’Urbe è forse troppo cupa e scura per tutta la durata dello spettacolo (in fondo si tratta di Don Pasquale, non di Macbeth…) ma lo spettacolo è di indubbio fascino visivo e la vicenda teatrale raccontata con ritmo e sorridente, malinconica partecipazione. Nel complesso sempre un bello spettacolo.
Allora sul podio c’era Riccardo Chailly, ora Evelino Pidò, e il lato musicale direi che non ne ha guadagnato. Una lettura, quella del maestro Pidò, troppo squadrata, a tratti pesante; ricercando la prodigiosa leggerezza prodiga di mezzetinte, sfumature, trasalimenti e spumeggiante brillio belcantistico, difficoltosamente la si trovava, ammesso di trovarla. Peccato.
Del cast del 2018 rimanevano Ambrogio Maestri e Mattia Olivieri, e sono stati i migliori. Di Maestri, in buona forma vocale, si apprezza sempre l’irresistibile simpatia e bonomia scenica; sei subito dalla sua parte e vocalmente, con l’esperienza e l’abilità di artista, ha risolto tutti i trabocchetti vocali del suo ruolo, e ve ne sono.
Travolgente il Dottor Malatesta di Mattia Oliveri, mercuriale e scatenato scenicamente, vocalmente perfetto. Bel timbro baritonale, ampio, caldo, risonante, omogeneo in tutti i registri; sicurissimo in acuto, non teme le insidie del velocissimo canto sillabato e in più di un momento si è avuta la sensazione (e l’ha avuta il pubblico che gli ha riservato acclamazioni finali) che fosse il vero protagonista dell’opera.
Di Lawrence Brownlee (Ernesto) non si può dire che canti male (momenti migliori “Com’è gentil la notte a mezzo april” e il duetto “Tornami a dir che m’ami) anzi, ma la voce è davvero di volume troppo limitato per una sala come quella della Scala e non possiede la “polpa” sufficiente, nonché il timbro più adeguato per questo ruolo.
La delusione maggiore è venuta però dalla Norina esilissima, filiforme, dagli acuti appuntiti e sempre un po’ sbiancati, di Andrea Carroll. Una volta annotato che anche coloratura e variazioni non erano prodigiose, si è stentato a scorgere la verve, sia vocale che teatrale, di questo pimpantissimo, nonché pepatissimo, personaggio.
Andrea Porta ha sostenuto adeguatamente il ruolo del Notaro, qui particolarmente “alticcio” e dalla lunga mano sugli oggetti di casa Corneto.
Impeccabile, come d’abitudine, il Coro scaligero preparato da Alberto Malazzi.
Teatro pieno e pubblico tripudiante. È questo quello che conta. No?
Nicola Salmoiraghi