Teatro alla Scala: La forza del destino Giuseppe Verdi -16 dicembre 2024, a cura di Nicola Salmoiraghi

 Teatro alla Scala: La forza del destino Giuseppe Verdi -16 dicembre 2024, a cura di Nicola Salmoiraghi

  • 17/12/2024

La forza del destino

Giuseppe Verdi

Melodramma in quattro atti

Libretto di Francesco Maria Piave


Direttore RICCARDO CHAILLY
Regia LEO MUSCATO

Personaggi e Interpreti:

  • Il marchese di Calatrava Fabrizio Beggi
  • Donna Leonora Anna Netrebko 
  • Don Carlo di Vargas Ludovic Tézier
  • Don Alvaro Luciano Ganci 
  • Preziosilla Vasilisa Berzhanskaya
  • Padre guardiano Alexander Vinogradov 
  • Fra Melitone Marco Filippo Romano
  • Curra Marcela Rahal
  • Un alcade Huanhong Li**
  • Mastro Trabuco Carlo Bosi
  • Un chirurgo Xhieldo Hyseni*
    *Allievo dell’Accademia Teatro alla Scala
    **Ex allievo dell’Accademia Teatro alla Scala

Scene FEDERICA PAROLINI
Costumi SILVIA AYMONINO
Luci ALESSANDRO VERAZZI
Coreografia MICHELA LUCENTI

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala

Nuova produzione Teatro alla Scala

 Teatro alla Scala, 16 dicembre 2024


photo Brescia e Amisano©Teatro alla Scala

La forza del destino porta sfortuna? Idiozie! Soprattutto quando questo immenso capolavoro verdiano costituisce una delle migliori inaugurazioni scaligere degli ultimi dieci/quindici anni, se non forse la migliore. Versione Scala 1869 e non l’originale 1862 San Pietroburgo, quella con tanto di suicidio finale anche di Don Alvaro. E integralissima, se dio vuole, come concepita dal Cigno di Busseto.

photo Brescia e Amisano©Teatro alla Scala

E alfiere di questa riproposta è stato un immenso Riccardo Chailly, alla guida di un’Orchestra scaligera che sembrava, una volta di più e come non mai, essere stata scelta e guidata dalla Vergine degli angeli in persona. A partire da una trascinante Sinfonia, in cui ho sentito rifulgere particolari, ceselli e raffinatezze mai uditi prima e attraverso tutta la tramatura di questo affresco musicale unico ed inarrivabile, Chailly ha condotto un racconto di un rigore e di una compattezza musicale incredibili. Il che non vuol dire formalismo, non vuol dire questo, anzi, tutt’altro. Libertà assoluta nel rispetto della scrittura, leggerezza, passione, fuoco, abbandono; un gioco di pianissimi in orchestra come non ho mai, mai sentito in quest’opera.

photo Brescia e Amisano©Teatro alla Scala

Musica e teatro sono tutt’uno e ti portano alla commozione, alle lacrime, alla verità che ti rivela la musica quando non ha difese e a te le toglie; uno davanti all’altro, parlando di noi; delle cose che sappiamo e che ci appartengono; che vorremmo non sapere e magari trattenere per poi lasciarle andare per sempre. So che non è una recensione canonica, tecnica. Ma Riccardo Chailly non ha raccontato qualcosa di esteriore a me, ma mi ha colpito al cuore. Niente di artificioso, di costruito. L’essenza della mia vita e, attraverso Verdi, di tutti noi. Grazie, Maestro Chailly.

photo Brescia e Amisano©Teatro alla Scala

E il risultato artistico non sarebbe stato completo se non coadiuvato dal bellissimo (e colossale) spettacolo con la regia di Leo Muscato, le suggestive scene di Federica Parolini, gli azzeccati costumi di Silvia Aymonino e le fantastiche luci di Alessandro Verazzi. Muscato, che ha impaginato una vera e propria grande regia, con un senso del Teatro da fuoriclasse, ha perfettamente colto la ciclicità di questa affascinante opera “a pannelli”, così difficile da portare in scena.

photo Brescia e Amisano©Teatro alla Scala

Con una scena girevole che ci porta continuamente a vedere scorci e ambienti diversi (un “bravissimi” ai tecnici di palcoscenico della Scala) ogni atto è ambientato in un’epoca diversa: il Settecento previsto dal libretto, l’Ottocento e le guerre napoleoniche, la Prima Guerra Mondiale con le sue trincee e uno qualsiasi degli insensati conflitti della contemporaneità. Così la locanda di Hornanchuelos del secondo atto è il continuo cammino di un esercito in marcia e i poveri dell’ultimo sono profughi diseredati che con la guerra tutto hanno perduto;

photo Brescia e Amisano©Teatro alla Scala

Preziosilla, mascotte e staffetta dell’esercito è la ragazza entusiasta che canta “Che bella la guerra, evviva la guerra” e il contrappasso ce le fa vedere nell’ultimo atto stesa in un sacco di plastica per i cadaveri e di lei emerge solo la ricciuta chioma fulva. Mentre il “Pace pace mio dio” di Leonora e il suo “là cesserà la guerra, santo l’amor sarà” acquistano oggi una straziante valenza universale. E l’albero secco e bruciato nel finale – momento di altissima poesia – che sigla il passaggio nello spettacolo delle stagioni, dall’estate all’inverno, gettando nuovamente dei germogli verdi, annuncia forse il ritorno, finalmente, della primavera della vita.

photo Brescia e Amisano©Teatro alla Scala

Sul palcoscenico un cast da standing ovation. In primis una travolgente Anna Netrebko nei panni di Leonora, Io non so più cosa scrivere che non suoni pleonastico di questa somma artista, il più grande soprano dei nostri tempi. Dopo 30 anni di carriera i mezzi sono ancora sfolgoranti. La vellutata pastosità di un timbro d’ ebano si sposa con una sicurezza e una potenza degli acuti strabiliante mentre è sempre capace di emettere pianissimi celestiali (quell’“invan la pace” filato di spalle come un raggio attraverso il cristallo).

photo Brescia e Amisano©Teatro alla Scala

E poi accento, potenza, carisma. Tutto. “Me pellegrina ed orfana”, “Madre pietosa Vergine”, il susseguente magnifico duetto con Padre Guardiano, “la Vergine degli Angeli” fino a “Pace pace mio dio” erano una continua dimostrazione di cosa significhi essere una cantante stratosferica e un artista senza pari. Gigantesca.

photo Brescia e Amisano©Teatro alla Scala

Titolare del ruolo di Don Alvaro era il tenore Brian Jagde (ascoltato ed apprezzato assai in video durante la prima diffusa dell’opera all’Associazione Mare Culturale Urbano di Milano, che ho avuto il piacere di presentare e commentare). Gli è nato il primo figlio e dopo la seconda recita ha lasciato il testimone (pare per ritornare comunque) a Luciano Ganci, già previsto per le ultime recite e che aveva regolarmente sostenuto tutte le prove. Che dire? Per certi versi meglio così. Perché Ganci, oltre ad avere la lucente ed argentea voce che ha, la solarità degli acuti raggianti, la generosità del canto, la passione bruciante dell’accento ha una cosa in più rispetto a Jagde: sente quello che canta, vive quello che canta; è Don Alvaro.

photo Brescia e Amisano©Teatro alla Scala

Questa è una parte difficilissima, che Ganci ha espugnato alla grande (ulteriormente cresciuto rispetto alle recite in cui lo sentii anni fa al Municipale di Piacenza); da “Tu che in seno agli angeli”, ai duetti (da manuale) con il baritono sino al finale è stata una prova di altissimo livello la sua, emozionante. Se qualcuno dice che non è un cantante sufficientemente star system per inaugurare una stagione, forse dovrebbe rivedere la sua scala di valori artistici e di molto.

photo Brescia e Amisano©Teatro alla Scala

Ludovic Tézier ha conquistato il pubblico come Don Carlo di Vargas. E a ragione. Si può immaginare un timbro più nobile, ricco di armonici, governato da altrettanta superba aristocrazia vocale? Tézier canta da padreterno, ma non è solo questo; ogni sillaba, ogni accento sono pervasi da un autentico spirito verdiano e da tale assoluta profondità che lo stesso Maestro Verdi credo sarebbe lieto di stringerli la mano. Certo possiede l’ampiezza della cavata, certo la granitica saldezza degli acuti, certo la scolpitura dell’accento, ma soprattutto ha una cosa che non si studia né si impara; l’impronta naturale dei grandi, di quelli che nella storia del canto lasciano una traccia.

Preziosilla era Vasilisa Berzhanskaya, splendida in scena e scintillante nel canto. In una sala come quella della Scala, la voce risulta forse non troppo ampia come volume, ma la cantante è intelligente e la usa al meglio, passando con fluidità dal grave all’acuto e cantando, a conti fatti, benissimo, riuscendo a fare del suo personaggio, a torto spesso considerato esornativo, una vera e propria creazione.

photo Brescia e Amisano©Teatro alla Scala

Alexander Vinogradov (Padre Guardiano) non sarà forse una voce di basso di debordante personalità ma canta parecchio bene e, come si suol dire, non sbaglia un colpo. Se si pensa a Fra Melitone oggi si scrittura Marco Filippo Romano e non potrebbe essere diversamente. Ben lungi dal farne una macchietta, Romano si fa forte di un canto timbrato, misuratissimo, autorevole. Emerge tutta la sottile cattiveria del ruolo, buffo forse, crudelissimo sicuro. Artista tra quelli dell’ultima generazione tra i più ammirevoli. Il Marchese di Calatrava si è avvalso della buona definizione vocale di Fabrizio Beggi.

photo Brescia e Amisano©Teatro alla Scala

Ottimamente scelta anche la locandina dei comprimari: a cominciare dall’irrinunciabile Mastro Trabuco di Carlo Bosi, ovvero un monumento all’arte di essere grandissimo anche nei ruoli di fianco; molta brava Marcela Rahal (Curra), così come Huanhong Li (Un Alcade) e Xhieldo  Hyseni (Un Chirurgo).

photo Brescia e Amisano©Teatro alla Scala

E il Coro della Scala, preparato da Alberto Malazzi, nella sua infinita palette di colori, sfumature, affondi, trasalimenti, gagliarde accensioni e spirituali trasparenze? Patrimonio immateriale Unesco dell’Umanità subito!

Teatro stracolmo, entusiasmo alle stelle, ovazioni al calor bianco. Che la Forza sia con noi!

Nicola Salmoiraghi

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