Teatro alla Scala: L’amore dei tre re – Italo Montemezzi, 28 ottobre 2023 a cura di Nicola Salmoiraghi

Teatro alla Scala: L’amore dei tre re – Italo Montemezzi, 28 ottobre 2023 a cura di Nicola Salmoiraghi

  • 29/10/2023

L’AMORE DEI TRE RE

Italo Montemezzi

Poema tragico in tre atti

Libretto di Sem Benelli


Direttore Pinchas Steinberg 
Regia Àlex Ollé / La Fura del Baus 

 

Personaggi e Interpreti:

  • Archibaldo Evgeny Stavinsky
  • Manfredo Roman Burdenko
  • Avito Giorgio Berrugi
  • Flaminio Giorgio Misseri
  • Un giovanetto Andrea Tanzillo*
  • Un fanciullo  Giulia Fieramonte**
  • Fiora Chiara Isotton
  • Ancella Fan Zhou*
  • Giovanetta Flavia Scarlatti 
  • Una vecchia Marzia Castellini

Scene Alfons Flores 
Costumi Lluc Castells 
Luci Marco Filibeck 

*Allievi dell’Accademia Teatro alla Scala
**Allievi Coro di voci bianche dell’Accademia Teatro alla Scala

Nuova produzione Teatro alla Scala

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala

 

Teatro alla Scala, 28 ottobre 2023


Assente dal 1953, direttore Victor De Sabata, è tornata sul palcoscenico del Teatro alla Scala L’amore dei tre re di Italo Montemezzi, anno di nascita alla ribalta 1913. Opera un tempo di grande repertorio e amatissima da bacchette quali quelle di Arturo Toscanini e Tullio Serafin, è partitura di straordinario fascino musicale, complessa scrittura orchestrale e molto difficoltosa da un punto di vista vocale, uno dei tanti e misconosciuti, oggi, titoli della vivacissima produzione operistica italiana a cavallo tra Otto e Novecento, Puccini naturalmente escluso, gigante che fa isola a sé.

photo©Brescia e Amisano

Di stordente, lussureggiante, turgida trama sinfonica, quanto Novecento si ascolta ed è presente nell’Amore dei tre re, e non solo; ti sembra di sentire Wagner e poi spunta Debussy, ritrovi Zandonai ed ecco una ventata di Strauss, eppure è solo e soltanto Montemezzi. Voglio dire che nulla in campo culturale è slegato dallo sviluppo di ciò che lo circonda, nulla è casuale e tutto è consequenziale.  Banalizzando scriverei che questa è musica bellissima – lo è – ma preferisco affermare che è musica necessaria, per capire il respiro e il profumo di un’epoca tormentata e prossima a conoscere le due più grandi tragedie del secolo scorso, con i loro prodromi e i loro effetti.

photo©Brescia e Amisano

E non si ironizzi sul sovraccarico libretto di Sem Benelli – ridondante di ornamenti lessicali e ora rugiadoso ora corrusco nelle più arabescanti volute linguistiche – creato per raccontare questo cupo dramma d’amore, violenza e morte, in un medioevo dove una donna viene uccisa brutalmente dal suocero cieco, non tanto per difendere l’onore del figlio da lei tradito, ma perché desiderata dal medesimo genitore, con successivo raddoppiarsi di vittime. Chi lo prende sottogamba sbaglia, perché proprio in questa cifra stilistica di linguaggio risiede l’essenza e il ritratto di un’era frastagliata nelle molteplici frange del Decadentismo, corrente artistica nobilissima.

photo©Brescia e Amisano

Il nuovo allestimento scaligero porta la firma di Àlex Ollé per La Fura del Baus, scene di Alfons Flores, costumi di Lluc Castells, luci di Marco Filibeck. In questa vicenda che racconta di un femminicidio (e per cui tragicamente attualissima) Ollé ha pensato ad un’ambientazione senza tempo, scura ed opprimente, in cui i personaggi si muovono in un’intricata selva di catene, a simboleggiare, per Flora, la sua soffocante condizione di prigioniera e vittima e per gli altri la gabbia che li costringe ai propri ruoli, ognuno legato al proprio destino. I ponti mobili fanno apparire all’occorrenza scalinate e terrazzamenti e tutta la vicenda, raccontata in modo chiaro e carico di tensione, si dipana con rigore ed essenziale, scabra, teatralità. Io l’ho trovato uno spettacolo bello e coerente.

Pinchas Steinberg, sul podio dell’Orchestra scaligera, ha reso di questo rapinoso affresco strumentale una lettura convincente, concentrata, coinvolgente, esaltandone ricchezza timbrica e colori orchestrali.

photo©Brescia e Amisano

Nel cast è emersa la Fiora della bravissima Chiara Isotton (personaggio ingrato e difficile assai da cantare, che oltretutto finisce la sua storia teatrale al termine del secondo atto). Voce sfolgorante da schietto soprano lirico-spinto di antica scuola italiana – suoni come un complimento – la cantante si è distinta per la sicurezza dell’emissione, l’autorevolezza del fraseggio, l’appassionata resa dell’interprete, la vellutata omogeneità dei registri, non temendo le numerosissime e perigliose fionde sonore che la spingono versi acuto di volume soggiogante, lanciati some saette sopra la densità dell’orchestra. Non mi stupirei, personalmente, che le chiedessero presto di cantare Turandot…

photo©Brescia e Amisano

Il ruolo del vecchio Archibaldo è stato da sempre veicolo per grandi bassi mattatori. Qui era Evgeny Stavinsky, che mattatore non è e difetta un po’ di personalità, ma canta correttamente, con musicalità, pur senza possedere le abissali profondità del ruolo.

Molto bravo Roman Burdenko nei panni di Manfredo, il marito tradito ma innamorato; il baritono ha cantato con bello slancio, cercando e trovando sempre le giuste gradazioni espressive del ruolo, con un mezzo vocale solido e di bel colore.

photo©Brescia e Amisano

Giorgio Berrugi era Avito, l’amante. Il tenore ha vocalità luminosa e di spessore, e si è lanciato con convinzione e buoni risultati nel rendere la scrittura montemezziana. Attenzione agli acuti, che a volte tendono a risultare “indietro”, con la sensazione di una perdita di volume della voce.

Gli altri componenti del cast erano: Giorgio Misseri (Flaminio), Andrea Tanzillo (Un giovanetto), Giulia Fieramonte (Un fanciullo), Fan Zhou (Ancella), Flavia Scarlatti (Una giovanetta), Marzia Castellini (Una vecchia).

Il Coro scaligero, preparato da Alberto Malazzi e in questo frangente non particolarmente impegnato, ha fatto come di consueto il dover suo.

photo©Brescia e Amisano

Teatro pieno (sorpresa) e successo vibrante, particolarmente caloroso per Chiara Isotton, e, a seguire, Roman Burdenko.

Nicola Salmoiraghi

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