TEATRO ALLA SCALA: L’ITALIANA IN ALGERI – 13 SETTEMBRE 2021

TEATRO ALLA SCALA: L’ITALIANA IN ALGERI – 13 SETTEMBRE 2021

  • 14/09/2021

L’ITALIANA IN ALGERI

di Gioachino Rossini

 

 

Direttore Ottavio Dantone

Regia, scene e costumi Jean-Pierre Ponnelle

regia ripresa da Grischa Asagaroff

Luci Marco Filibeck

 

 Personaggi e Interpreti

  • Mustafà Carlo Lepore 
  • Isabella Gaëlle Arquez
  • Lindoro Maxim Mironov 
  • Taddeo Roberto de Candia
  • Haly Giulio Mastrototaro
  • Elvira Enkeleda Kamani
  • Zulma Svetlina Stoyanova

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala

Maestro del Coro Alberto Malazzi

Teatro alla Scala 13  settembre 2021


Il Teatro alla Scala ha iniziato la sua attività operistica autunnale (cinque titoli a far da preludio alla Stagione 2021/22 che si inaugurerà il prossimo 7 dicembre con  Macbeth) con la ripresa de L’Italiana in Algeri di Rossini nello storico allestimento di Jean-Pierre Ponnelle (regia, scene e costumi) che ormai data quasi mezzo secolo, essendo nato nel 1973, ripreso in quest’occasione da Grischa Asagaroff.

Il pubblico (contingentato per il Covid, massimo 930 posti vendibili in questa prima fase, ci si augura che, come sembrerebbe sensato ed accade in altri Paesi europei, in presenza di green pass e quindi di vaccinati, vengano a cadere queste limitazioni di spettatori e si possa tornare alla capienza al 100%) ha accolto con sorridente favore questo spettacolo. Certo, il tempo non è trascorso invano, e la nostra idea di Teatro è molto cambiata rispetto ad allora, quando questa lettura, che evidenziava il turbinoso meccanismo comico teso a restituire i personaggi dell’opera buffa rossiniana alla loro dimensione di archetipi di un meccanismo ad orologeria disincarnato e straniante, quasi “futurista”, parve rivoluzionaria. Molto acqua è passata sotto i ponti e rivoluzionaria non è più, conservando tuttavia la malinconica grazia di un tempo che fu e l’incorrotta eleganza della cifra visiva. Grischa Asagaroff avrebbe dovuto fidarsi dell’originale e nulla aggiungere, perché si rischia l’effetto “di troppo” e non “di più”, tantomeno “di meglio”.

Ottavio Dantone è stimatissimo barocchista, ma ogniqualvolta affronta Rossini qualche perplessità la suscita. Non si discute il livello del musicista ma semmai la pesantezza di certi accompagnamenti e la ricerca di sonorità sin troppo gonfiate, già a partire dalla Sinfonia, unitamente a tempi che sono parsi più di una volta incoerenti, tra inopinate lentezze e improvvise impennate. Rossini scoppietta da sé, certo, ma è anche molto importante chi alimenta la fiamma.

Gaëlle Arquez era Isabella. Presenza scenica affascinante anche se personalità teatrale decisamente timida, il mezzosoprano, di timbro chiaro, possiede vocalità educata, dai morbidi chiaroscuri. Il suo momento migliore è stato decisamente “Per lui che adoro”, poeticamente cesellato, mentre i passaggi più incisivi dell’agilità rossiniana di forza l’hanno vista giocare in difesa.

Elegantissimo e credibile in scena anche il Lindoro di Maxim Mironov, che ha il suo punto di forza in un canto di grazia delicato e forbito, stilisticamente ineccepibile unito a uno squisito gusto musicale nel restituire la parola cantata.

Mattatori della serata i due “buffi”, Carlo Lepore (Mustafà) e Roberto De Candia (Taddeo). Il primo unisce ad una vocalità solidissima, sonora e pastosa  la conoscenza di ogni segreto (che non equivale a trucco) del canto rossiniano, il secondo sposa la rara sapienza di divertire con misura, senza strafare, a una tecnica ed un’emissione che dimostrano lo zenith di un ammirevole maturità artistica.

Un vero scialo avere la bella voce di Giulio Mastrototaro nel ruolo di fianco di Haly, che ha così modo di essere sbalzato con la dignità teatrale di un vero coprotagonista.

Completavano onorevolmente il cast Enkeleda Kamani (Elvira) e Svetlina Stoyanova (Zulma). Affidabilissima, come di consueto, la prova del coro scaligero, guidato da Alberto Malazzi. Encomiabile James Vaughan, al fortepiano per il basso continuo.

 

Giulio Spadari

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