TEATRO ALLA SCALA: Rigoletto – Giuseppe Verdi, 27 giugno 2022 a cura di Nicola Salmoiraghi
Rigoletto
opera in tre atti di Giuseppe Verdi
su libretto di Francesco Maria Piave
tratta dal dramma di Victor Hugo Il re si diverte
Direttore Michele Gamba
Regia Mario Martone
Personaggi e Interpreti:
- Duca di Mantova Piero Pretti
- Rigoletto Amartuvshin Enkhbat
- Gilda Nadine Sierra
- Sparafucile Gianluca Buratto
- Maddalena Marina Viotti
- Giovanna Anna Malavasi
- Monterone Fabrizio Beggi
- Marullo Costantino Finucci
- Matteo Borsa Francesco Pittari
- Ceprano Andrea Pellegrini
- Contessa Rosalia Cid
- Paggio Mara Gaudenzi
- Usciere di corte Corrado Cappitta
Scene Margherita Palli
Costumi Ursula Patzak
Luci Pasquale Mari
Coreografia Daniela Schiavone
Maestro del Coro Alberto Malazzi
Nuova produzione Teatro alla Scala
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Teatro alla Scala, 27 giugno 2022
E così, nuovo Rigoletto fu alla Scala, dopo la produzione Deflo-Frigerio-Squarciapino risalente al 1994 e più e più volte riproposta. Questa volta l’allestimento portava la prestigiosa firma registica di Mario Martone (avete visto il suo ultimo bellissimo film, Nostalgia? Non perdetelo), con scenografie di Margherita Palli, costumi di Ursula Patzak e luci di Pasquale Mari.
Martone, con evidente e dichiarato inchino a Parasite di Bong Joon-ho (altra pellicola capolavoro) ambienta la vicenda dell’opera verdiana in epoca moderna: da un lato l’ambiente alto borghese, vizioso e corrotto, del Duca e della sua corte, dall’altro la periferia distopica e squallida, con il quartiere alveare con sanitari a vista, degli emarginati, che solo occasionalmente, come spettatori, complici, sfruttati, vengono ammessi nel mondo “privilegiato”. Rigoletto, che è deforme nell’animo e non esteriormente, è sodale e scagnozzo del Duca, porta la cocaina per i suoi festini e probabilmente gode delle stesse fanciulle (Monterone del resto parla di orge, non di tè di beneficenza…), salvo poi, padre padrone, schiavizzare la figlia con un amore morboso, malato, soffocante, quasi sull’orlo della tirannia manesca. L’idea drammaturgica funziona benissimo, la scena girevole, come di consueto di stupefacente suggestione, di Margherita Palli, e gli adeguati costumi di Ursula Patzak fanno il resto.
Raramente il capolavoro verdiano ci è parso così attuale, a dimostrazione che le grandi opere d’arte, se interpretate con intelligenza dialogano sempre con l’oggi e sempre raccontano di noi. Tutti gli interpreti, evidentemente molto coinvolti, recitano al meglio, facendoci arrivare la “verità” del teatro. Unica perplessità la suscita la spiazzante scena finale (ulteriore e verrebbe da dire sin troppo smaccato “omaggio” a Parasite), dove, sulle ultime note e una volta portato via il cadavere di Gilda seguito dal padre disperato, il popolo degli esclusi si ribella e fa strage del Duca e degli ospiti tutti della sua lussuosa dimora, in una dimensione splatter e raggelante. Può anche andare come principio drammatico, è che i secondi di musica a disposizione sono realmente pochi e non c’è il tempo teatrale per realizzarla in modo davvero convincente, così il tutto risulta un po’ frettoloso e confuso. Detto ciò, ci troviamo di fronte ad uno spettacolo davvero incisivo e potente, da ricordare.
Ottima anche la concertazione di Michele Gamba, alla guida della smagliante Orchestra scaligera. Una lettura tesa drammatica, rispettosa delle indicazioni verdiane ma nondimeno personale e incalzante, sempre “attaccata” al racconto teatrale, in ideale sintonia con lo spettacolo.
Eccellente il cast, a partire dai tre protagonisti. Amartuvshin Enkhbat (l’abbiamo sentito ammirandolo altre volte, ma così interprete mai prima d’ora) è baritono dai mezzi eccezionali: voce grandissima, potente, risonante, soggiogante in acuto, ricca di armonici, bella, pastosa, omogenea. Fraseggia, accenta, canta raggiungendo il cuore ed è un edonistico piacere per l’udito. Vi par poco? No, è praticamente tutto quello che si possa desiderare. E non solo per Rigoletto.
Sfolgorante la magica Nadine Sierra (Gilda), voce di soprano dove il lirico prende il sopravvento sul leggero e pathos interpretativo unito a souplesse in una coloratura scintillante e cristallina, convivono in perfetto connubio. Un “Caro nome” da antologia, con trilli di trasparente e ricamata perfezione, e un “Tutte le feste al tempio” palpitante di emozione e accenti vibranti, sono stati solo due momenti di una prova superlativa dalla prima all’ultima nota, in cui cantante e attrice non sono inferiori una all’altra.
Piero Pretti (Duca), argenteo, squillante, scanzonatamente protervo, musicalissimo, non ha sbagliato un colpo, fraseggiando con rigorosa attenzione al dettaglio, colorando le frasi con intenzioni varie e minuziose, confermandosi così tenore e artista di classe.
Assolutamente efficaci nei loro ruoli perfettamente caratterizzati, sia teatralmente che vocalmente, Gianluca Buratto (Sparafucile) e Marina Viotti (Maddalena).
Autorevolissimo il Monterone in chiave homeless e per questo emarginato dai suoi ex pari grado, di Fabrizio Beggi.
Nella folta schiera dei comprimari si sono distinti Costantino Finucci (Marullo), Francesco Pittari (Borsa), Andrea Pellegrini (Conte di Ceprano). Completavano la locandina Anna Malavasi (Giovanna), Rosalia Cid (Contessa di Ceprano), Corrado Cappitta (Usciere di corte), Mara Gaudenzi (Paggio).
È quasi pleonastico ricordare che il meraviglioso Coro scaligero, preparato da Alberto Malazzi, è praticamente uno strumento unico aggiunto all’Orchestra. Insostituibile.
Successo fervido e prolungato per tutti al termine della terza recita, con punte al calor bianco per Enkhbat e Sierra.
Nicola Salmoiraghi