TEATRO ALLA SCALA: THAÏS – Jules Massenet, 19 febbraio 2022 a cura di Nicola Salmoiraghi
THAÏS
Jules Massenet
Comédie lyrique in tre atti
Libretto di Louis Gallet
Direttore Lorenzo Viotti
Regia Olivier Py
Personaggi e Interpreti
- Thaïs Marina Rebeka
- Athanaël Lucas Meachem
- Nicias Giovanni Sala
- Crobyle Caterina Sala
- Myrtale Anna-Doris Capitelli
- Albine Valentina Pluzhnikova
- Charmeuse Federica Guida
- Palémon Insung Sim
- Un servitore Jorge Martínez
Aiuto regista Ivo Bauchiero
Scene e costumi Pierre André Weitz
Assistente scenografo Pierre Lebon
Assistente costumista Mathieu Crescence
Luci Bertrand Killy
Coreografia Ivo Bauchiero
Nuova Produzione Teatro alla Scala
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Teatro alla Scala, 19 febbraio 2022
Thaïs di Jules Massenet alla Scala fu rappresentata una sola volta, in italiano, nel 1942, protagonista Mafalda Favero, direttore Gino Marinuzzi. Per cui l’attuale produzione nell’originale francese può considerarsi in un certo senso una “prima” assoluta”. C’erano molta attesa e curiosità intorno a questo allestimento e le aspettative non sono andate deluse. Mi sono trovato di fronte decisamente ad uno degli spettacoli più esaltanti delle ultime stagioni.
Debuttava al Piermarini, al banco di regia, il sulfureo Olivier Py, una fucina di intelligenza teatrale e lucida visionarietà. Niente Egitto di maniera, niente filtri liberty esoticheggianti nella sua visione, ma ci troviamo catapultati in un mondo senza tempo e più vicino a noi, dove il cenobita Athanaël fa parte di una congrega tipo Esercito della salvezza e Thaïs è la primadonna di un music hall/cabaret/luna-park che si presenta con tanto di fiammeggiante lamé rosso rubino e ali scarlatte da angelo del male. La casa di Nicias in versione fluid-gender, in bilico tra il glam-rock e il maestro di cerimonie del Cabaret di Bob Fosse (una creazione assolutamente stupefacente, una delle chicche dello spettacolo di un travolgente Giovanni Sala, tanto carismatico scenicamente quanto bravo vocalmente), è una sorta di teatro del piacere, tra sipari scintillanti, camerini e specchiere istoriate di luminose, dove i sessi si intrecciano, confondono e dilettano vicendevolmente (i nudi in scena sono assolutamente pertinenti e non gratuiti, dopo tutto si parla molto di sensualità, lussuria e peccato nella vicenda, e ne parla anche la musica) e sulle cui pareti è scritto “Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura/ché la diritta via era smarrita”.
Tra richiami danteschi e simbologie religiose sempre molto forti e azzeccate (l’irridente crocifissione per provocare Athanaël al festino di Nicias, dove a un baldo giovanotto si sostituisce una ragazza seminuda, e quella dell’ultimo atto, che come una ruota del destino si materializza durante le estreme tentazioni del cenobità, ormai vinto dall’amore carnale per l’ex cortigiana, ascesa oltre le soglie della redenzione), gli spunti interessanti ed emozionanti non si contano; Thaïs che canta l’“aria dello specchio” rivolgendosi a un ragazzo discinto, “svestito” color rubino, che altri non è che Eros, e che da specchio diventa la statua del dio dell’amore, che la donna vuole recare con sé per offrirla in sacrificio alla sua nuova vita e che in realtà instillerà il germe delle seduzione in Athanaël; la Charmeuse che con il suo canto avviluppa e stordisce e altri non è che la Morte, che sempre segue Thaïs; le rutilanti e bellissime scenografie (il palazzo di Nicias di cui si detto, una foresta dei sensi, fatta di alberi sempre mutevoli di colore, giganteshe ruote luminescenti da parco divertimenti, strisce di fiamme prime finte poi autentiche, ma anche il severo monastero con piccola stilizzata chiesetta, troppo piccola per contenere anime perse…) di Pierre-André Weitz, autore anche degli azzeccatissimi costumi, le fantasmagoriche luci di Bertrand Killy, adeguate ad ogni differente temperie emotiva, le coinvolgenti coreografie di Ivo Bauchiero (la lunga parentesi dei ballabili si sarebbe voluta senza fine, ed è una rarità…) in cui si sono distinti i due primi ballerini Emanuele Montanari e Massimo Garon nel magnifico momento musicale della “Méditation”. Grande teatro per grande musica.
Sì, grande musica, nella quale bisogna credere fino in fondo, in bilico com’è tra suggestioni orientaleggianti, abbandoni decadenti (si badi, non decadentisti…), bucianti accensioni liriche e trepidi abbandoni. Lorenzo Viotti l’ha fatto, e alla guida di un’ispiratissima orchestra scaligera, ha restituito a questo titolo di Massenet il rango di capolavoro che gli spetta; trasparenze, scavo intrepretativo, trasalimenti sonori sempre cangianti, una mimesi perfetta con voci e palcoscoscenico, in un continuo dialogare con l’anima di una musica che dà l’addio all’Ottocento (l’opera è del 1894) per salutare il secolo inquieto e tragico che verrà. E in un momento che potrebbe essere puramente esornativo, come quello delle danze, Viotti incide una pagina di folgorante teatro musicale, in totale comunione con lo spettacolo di Py. Un grande musicista dal futuro luminosissimo.
Sul palcoscenico ha dominato una superba Marina Rebeka, indimenticabile Thaïs; il soprano lettone ha tutto, bellezza fisica, fascino scenico, intensità interpretativa, acuti e sovracuti raggianti e potenti, argentea pastosità del timbro, pianissimi filati come raggi lunari, fraseggio vario e screziato, accento intriso di vibrante partecipazione; interpretazione sbalorditviva per una delle più grandi cantanti di oggi; non ci possono essere “se” e “ma” di fronte a Marina Rebeka che canta Thaïs (e probabilmente molti altri ruoli).
Non ha demeritato, tutt’altro, al suo fianco, il bravo baritono Lucas Meachem, nel ruolo più che impegnativo di Athanaël; bella voce, ampia, sonora. Accento incisivo e interprete sempre attento alle esigenze musicali e psicologiche del suo personaggio, ha offerto un ritratto del tormentato cenobita di convincente rilievo, sia vocalmente che scenicamente.
Del bravissimo Giovanni Sala (Nicias) si è già scritto ma da lodare in blocco sono tutti gli altri interpreti: Caterina Sala e Anna-Doris Capitelli (perfette come Crobyle e Myrtale), l’iridescente Federica Guida, che ha volato con doisnvoltura sui siderali vocalizzi della fatale Charmeuse, e poi Insung Sim (Palémon), Valentina Pluzhnikova (Albine), Jorge Martínez (Un servitore). E a completare la locandina i Cenobiti di Luigi Albani, Renys Hyka, Michele Mauro, Andrea Semeraro, Massimo Pagano, Giorgio Valerio.
Superlativo, secondo abituale standard, il Coro Scaligero diretto da Alberto Malazzi.
Successo trionfale al termine dello spettacolo, tributato da un Piermarini gemito. Il Teatro e il suo pubblico sono tornati, li stavamo aspettando.
Nicola Salmoiraghi