Teatro alla Scala: Werther – Jules Massenet, 24 giugno 2024 a cura di Nicola Salmoiraghi
WERTHER
Dramma lirico in quattro atti
Libretto di Édouard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann
Orchestra del Teatro alla Scala
Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala
Nuova produzione Teatro alla Scala
in Coproduzione con Théâtre des Champs-Élysées
Direttore ALAIN ALTINOGLU
Regia e coreografia CHRISTOF LOY
Personaggi e Interpreti:
- Werther Benjamin Bernheim
- Albert Jean Sébastien Bou
- Le Bailli Armando Noguera
- Schmidt Rodolphe Briand
- Johann Enric Martínez-Castignani
- Bruhlmann Pierluigi D’Aloia*
- Charlotte Victoria Karkacheva
- Sophie Francesca Pia Vitale
- Katchen Elisa Verzier
Les Enfants**
- Fritz: Niccolo Vittorio Villa
- Max: Alessandro Malgeri
- Hans: Alberto Tibaldi
- Karl: Lorenzo De Gaspari
- Gretel: Sofia Dazio
- Clara: Cecilia Menegatti
*Allievo dell’Accademia di Perfezionamento per Cantanti Lirici del Teatro alla Scala
**Allievi del Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala diretto da Bruno Casoni
Scene JOHANNES LEIACKER
Costumi ROBBY DUIVEMAN
Luci ROLAND EDRICH
Teatro alla Scala, 24 giugno 2024
Dopo 44 anni, Werther torna alla Scala. L’ultima volta era stata nel 1980, protagonista Alfredo Kraus. Occorre dire che con questo spettacolo Dominique Meyer centra uno degli obiettivi più riusciti della sua gestione artistica.
Il regista, uno dei nomi più interessanti e mai banali del contemporaneo panorama teatrale lirico, è Christof Loy (scene di Johannes Leiacker, costumi, intriganti e stylishly, di Robby Duiveman, luci di Roland Edrich) che trasporta la vicenda nel cuore degli anni Cinquanta del Novecento. Una scena unica, l’esterno e l’interno di una casa borghese tedesca, un mondo chiuso e “perbene”, che, nei riti e nelle regole di un’impeccabile vita famigliare, dimentica e cerca di far dimenticare le eventuali silenziose complicità o connivenze con gli orrori di una decina di anni prima. Tutto è spiato, commentato, sottaciuto, magari solo con un piccolo scuotere di capo o un sopracciglio alzato. Werther, elegantemente vestito come un dandy, è ovviamente l’irregolare, tutto istinto e bruciante passione, apparentemente accettato ma guardato con sospetto.
Se i primi due atti scorrono con incalzante gioco di recitazione e intensità teatrale (bravissimi tutti gli interpreti, anche come attori), è nel terzo e quarto, uniti senza soluzione di continuità, che lo spettacolo ha un colpo d’ala di sconvolgente forza emotiva: è lo stesso Werther, che, simbolicamente, porta la lettera in cui chiede le pistole di Albert, che, insieme a Charlotte e Sophie, resterà in scena sino alla fine: sono loro il tribunale che lo condanna, sono loro che non lo fermeranno, quando si udranno i colpi dietro la porta chiusa; Albert si libera di un rivale, Sophie si vendica dell’uomo che non l’ha amata e Charlotte soffoca così il suo senso di colpa; peraltro sarà l’unica, che avrà uno slancio tardivo dettato dalla passione; getterà tutte le lettere di Werther addosso ad Albert, che ossessivamente le legge avendo così definitiva consapevolezza di non essere mai stato altro che un’utile, grigio altare su cui accendere candele alla convenienza, e farà finalmente sgorgare il proprio amore di fronte al morente Werther e agli altri due, mentre Sophie si rifugia in una sorta di infantile straniamento. Grande spettacolo, grande regia.
E splendida direzione, aggiungo, con Alain Altinoglu, alla guida della compagine scaligera. Ho sempre trovato affascinante, di questo capolavoro massenetiano, il modo in cui una delle epitomi del Romanticismo, la figura di Werther, attraverso il filtro musicale del decadentismo (mai corrente artistica fu per me più nobile) diventi altro. L’eroe tutto passione diventa l’antieroe perso nella sua (ma anche di Charlotte) solipsistica ricerca dell’infelicità, che dà molto più macerato piacere che non la realizzazione dei desideri. Di questo universo Altinoglu si è fatto interprete attento, insinuante, trascinante, in un perfetto trascolorare di emozioni, colori, fraseggi orchestrali sempre vari e pregnanti e dinamiche perfettamente in armonia con il racconto teatrale. Eccellente.
Benjamin Bernheim non possiederà forse il timbro più seducente del mondo, ma che Werther straordinario! Una classe vocale suprema, un gusto nel fraseggio e nel porgere la parola cantata infallibile; non un attimo è buttato via o sprecato, tra sfumature, pianissimi e mezzevoci, ma acuti e slanci, quando necessari, sono svettanti, luminosi, incisi con il bulino su di un alabastro opalescente. Il canonico “Porquoi me réveiller” è stato coronato da una meritatissima ovazione con richieste di bis. Oltretutto l’interprete è credibilissimo nel personaggio.
Osservazione che vale anche per la fascinosa Charlotte della bella Victoria Karcacheva, molto brava vocalmente, di timbro morbido e setoso e attrice convincentissima. La sua grande scena del terzo atto e tutto il finale sono stati davvero emozionalmente di notevolissimo impatto.
Efficace scenicamente e con vocalità argentina, brillante e di serica, palpitante e ambigua trepidazione, Francesca Pia Vitale come Sophie. Jean Sebastién Bou era un Albert del tutto in linea con la visione registica di Loy, e ha reso il suo personaggio con i giusti toni musicali e scenici.
Ottima la schiera dei comprimari: Armando Noguera (Le Bailli), Rodolphe Briand (Schmidt), Enric Martínez-Castignani (Johann), Pierluigi D’Aloia (Bruhlmann), Elisa Verzier (Katchen). Bravi gli Allievi del Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala, diretto da Bruno Casoni.
Teatro affollato e pubblico calorosissimo al termine, per questo Werther che è sicuramente uno dei migliori spettacoli della stagione scaligera sino ad ora.
Nicola Salmoiraghi