VENEZIA: Faust – Charles Gounod, 30 APRILE 2022 a cura di Silvia Campana
FAUST
musica di Charles Gounod
libretto di Jules Barbier e Michel Carré
direttore Frédéric Chaslin
regia Joan Anton Rechi
Personaggi e Interpreti:
- Doctor Faust Ivan Ayon Rivas
- Méphistophélès Alex Esposito
- Valentin Armando Noguera
- Marguerite Carmela Remigio
- Wagner William Corrò
- Siébel Paola Gardina
- Marthe Schwertlein Julie Mellor
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Alfonso Caiani
scene Sebastian Ellrich
costumi Gabriela Salaverri
light designer Alberto Rodriguez Vega
Teatro La Fenice, 30 aprile 2022
Si presentava un po’ monocorde e dalle tinte opache il Faust presentato dal Teatro La Fenice di Venezia nel corso della corrente stagione, non tanto a causa del cast molto attento, musicale e teatralissimo, quanto per una lettura musicale nel suo complesso poco convincente.
Joan Anton Rechi immagina per la sua produzione un impianto centrale e semovente di sapore vagamente strutturalista su cui si aprono numerosi riferimenti cinematografici (in particolare l’universo felliniano) che in alcuni momenti diventano preponderanti: nella scena del Sabba ad esempio tutte le icone del mondo di celluloide (capitanate da Mephistophélès quale Angelo azzurro) concorrono nella seduzione del giovane Faust. Certo le ingenuità sono molte (l’idea delle scene corali come di un set cinematografico cui Mefistofele è regista è molto abusata) ma la produzione scorre veloce e non è cosa da poco in questo spartito.
L’idea ha infatti l’indubbio pregio di essere snella nei cambi scena che a tratti sono risolti con acuta intelligenza (ad esempio nell’uso di un secondo velario che simula un occhio di bue e, quasi come in un circo, nasconde o svela questo o quel quadro) ma è soprattutto nella drammaturgia che riguarda il carattere di Marguerite, la sua relazione con Mephistophélès e Faust, che alcune soluzioni si pongono particolarmente interessanti. La psicologia del personaggio femminile viene infatti qui assai ben sviluppata attraverso una sua interpretazione più profonda in cui la stessa idea del male può cambiare velocemente aspetti e connotati. Diventa dunque difficile, specie nella grande scena finale, distinguere dove veramente abbia sede il “male” e da quale sua dimensione la giovane (qui definita non come bambola di celluloide ma donna autentica attraverso tutte le sue fragilità, incoerenze ed erotiche pulsioni) debba difendersi. Un gioco registico attento cui i cantanti si sono prestati con grande partecipazione teatrale con un risultato finale assai potente.
Ivan Ayon Rivas è un tenore dalla vocalità facile e suadente, molto omogenea e facile in acuto che risolve felicemente e con bello squillo. Sa peraltro fraseggiare con gusto e si pone in scena con attenta teatralità e misura. Un Faust più che buono dunque che con il tempo non potrà che affinare una caratterizzazione già di per sé assai ben impostata.
Difficile definire l’interpretazione di Carmela Remigio in quanto questa si pone quale ottimo esempio di teatro musicale oggi. Parlare della sua caratterizzazione di Marguerite sotto il solo profilo vocale risulterebbe infatti incompleta in quanto ormai l’artista ha raggiunto una sua teatralità che le permette di unire alla peculiare vocalità (compresa di pregi e difetti) un’analisi marcata e profonda del personaggio. Arduo dunque dire dove finisca la cantante e dove inizi l’attrice e credo non sia neanche necessario farlo. Di fatto il ruolo ci si presenta in scena sfaccettato e ricco di chiaroscuri, una donna di oggi con i suoi interrogativi e le sue angosce profonde ed è difficile non restarne colpiti. La vocalità poi risulta tanto attenta e scolpita quanto sempre al servizio della parola e del teatro con un risultato finale globalmente completo.
Alex Esposito ci regala un Méphistophélès “deus ex machina”del dramma. Dapprima nelle vesti di regista, poi quale protagonista di un hollywoodiano sabba, la sua interpretazione si muove sospesa su di un filo sottile che unisce alla più tradizionale delle interpretazioni un’attenzione alla parola ed al suo peso sempre marcata ed intensa che, in alcuni casi (“Le veau d’or”), ottiene risultati di grande potenza espressiva. La vocalità morbida poi, sempre al servizio del teatro, agisce in simbiosi con una recitazione disinvolta e misurata.
Armando Noguera non convince quale Valentin a causa, non tanto di una teatralità sempre attenta, quanto di una vocalità alla quale gli armonici contribuiscono certo a donare peculiare teatralità ma anche a minare una corretta resa musicale. Sostanzialmente corretta Paola Gardina, per quanto ancora molto da maturare, quale Siébel.
Completavano il cast William Corró (Wagner) e Julie Mellor (Marthe). Abbastanza positiva la prova del Coro del teatro diretto da Alfonso Caiani.
Come già accennato in apertura sembrava mancare alla direzione di Frédéric Chaslin una temperatura che portasse a giusta cottura la pirotecnica partitura di Gounod, che qui veniva risolta attraverso una lettura corretta ma lontana da un gioco espressivo particolarmente curato, a scapito di una dinamica orchestrale troppo spesso ridondante e priva di sfumature.
Teatro gremito ed applausi per tutti gli interpreti ed il direttore.
Silvia Campana