VENEZIA: Les Contes d’Hoffmann – Jacques Offenbach, 24 novembre 2023 a cura di Silvia Campana

VENEZIA: Les Contes d’Hoffmann – Jacques Offenbach, 24 novembre 2023 a cura di Silvia Campana

  • 30/11/2023

Les Contes d’Hoffmann

Jacques Offenbach

direttore Frédéric Chaslin

regia Damiano Michieletto

 

Personaggi e Interpreti:

Hoffmann Ivan Ayon Rivas
La Muse Paola Gardina
Nicklausse Giuseppina Bridelli
Lindorf, Coppélius, Le docteur Miracle, Dapertutto Alex Esposito
Andrès, Cochenille, Frantz, Pitichinaccio Didier Pieri
Olympia Rocío Pérez
Antonia Carmela Remigio
Giulietta Veronique Gens
La Voix  Federica Giansanti
Nathanaël Christian Collia
Spalanzani François Piolino
Hermann/Schlemill Yoann Dubruque
Luther, Crespel Francesco Milanese

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Alfonso Caiani
scene Paolo Fantin
costumi Carla Teti
luci Alessandro Carletti
coreografia Chiara Vecchi

in coproduzione con
Opera Australia, Royal Opera House Covent Garden Foundation, Opera National de Lyon

 

 

Teatro La Fenice, 24 novembre 2023


Si è aperta in maniera assai eclettica e fantasmagorica la nuova stagione del teatro La Fenice di Venezia grazie ad un titolo come Les Contes d’Hoffmann di J. Offenbach (in coproduzione con Opera Australia, Royal Opera House Covent Garden Foundation, Opera National de Lyon) che, per la storia stessa della sua composizione, si colloca nel panorama musicale di fine Ottocento come un eterogeneo crogiolo di stili, sonorità e tematiche.

photo©Michele Crosera

Data l’interminabile e tormentata genesi, non esistendo di fatto una definitiva edizione critica, ogni realizzazione dell’opera finisce per rispondere alle esigenze delle singole produzioni che, con tutte le buone intenzioni, la modellano a piacimento, aggiungendo ed eliminando brani a seconda delle proprie personali concezioni drammaturgiche.

In questo caso particolare la scelta (un pastiche tra la versione di Ernest Guiraud e la discutibile edizione critica di Fritz Oeser) è sembrata essere dettata da una precisa progettualità registica che, avendo a disposizione una grande varietà di materiale con pochi punti fissi, ha operato le scelte più funzionali al suo spettacolo, raffinato prodotto di un’analisi assai sfaccettata delle fonti e molto teatrale nel senso più vasto del termine.

photo©Michele Crosera

Damiano Michieletto realizza, tramite una sola apparente semplicità formale, un complesso ed articolato viaggio che, attraverso il fantastico racconto di Hoffmann, ci porta a contatto con la realtà poetica incastonata nei suoi sogni ed in quell’universo onirico noi stessi finiamo col ritrovarci.

Coadiuvato brillantemente dalle scene di Paolo Fantin e dai costumi di Carla Teti lo spazio scenico creato dal regista rimanda a quello nudo della mente, una semplice stanza vuota in cui aperture laterali o dal soffitto introducono pian piano riferimenti all’azione in corso. Il percorso ci porta ad addentrarci in uno spazio ricordo in cui è il tempo a segnare il confine e dove Hoffmann vive (o meglio tenta di vivere) i suoi amori durante il corso della vita. Le tre età dell’uomo contraddistinguono i tre Atti in cui l’opera è divisa delineandone il contesto: il I° si svolge in una scuola, nel periodo più puro ed ingenuo della vita, ed Olympia appare quasi come la fata dai capelli turchini per il piccolo Hoffmann/ Pinocchio, stretto nel suo vestitino di carta, nel II° tutto tende ad incupirsi e prende forma una scuola di danza classica dove sembra essere accudita Antonia che è inferma e non può più ballare, nel III° ci si sposta infine in un night club dove il cinismo ha ormai rubato il posto al sentimento.

photo©Michele Crosera

A prescindere dalle singole ambientazioni ciò che più colpisce della lettura di Michieletto è come il regista ne fa uso per veicolare il percorso interiore del poeta, vivo all’interno delle sue creazioni fantastiche con tutti i suoi incubi e le sue angosce.

Già nel Prologo il regista svela i suoi assi presentandoci il protagonista ridotto allo stato di clochard affiancato da un vivace Nicklausse che ha le fattezze di un essere fatato a metà tra Papageno ed Ariel in una stanza dove le gigantesche ombre, proiettate sulle pareti dai personaggi, sembrano significarci che a breve entreremo anche noi in quella stessa lanterna magica in cui tutto può accadere, e così sarà.

In palcoscenico si avvicenderanno infatti diavoli più o meno birboni, trampolieri, topolini, ballerine, tutti impegnati nella medesima danza ed al servizio di una drammaturgia profonda e magnetica in cui comicità e tragedia tessono un’unica robusta tela di emozioni universali.

photo©Michele Crosera

Per realizzare tutto questo era però necessario trovare un cast di eccellenti artisti che riuscissero ad esprimere il taglio drammaturgico del regista.

Il tenore Ivan Ayon Rivas impegnato nella temibile (come tessitura e lunghezza per non parlare del suo aspetto interpretativo) parte di Hoffmann offre una sua lettura assai intelligente e raffinata, declinandola attraverso un cesellato uso della propria vocalità.

Il colore del timbro di Rivas ben si adatta al carattere del personaggio e l’artista lo usa con estrema misura non mancando alcun appuntamento tecnico ma anzi affrontandolo con giusta grinta ed ugual sensibilità espressiva.

photo©Michele Crosera

Alex Esposito aveva l’ardito compito (tanto vocale quanto teatrale) di impersonare le quattro declinazioni del male (Lindorf, Coppélius, Le docteur Miracle, Dapertutto) e diciamo subito che lo ha svolto in modo eccellente. Andando a ricercare sempre nella sua interpretazione un taglio trasversale che facesse sfumare e spesso coincidere la sottile parete dell’ironia con quelle del sarcasmo, della brutalità e della ferocia (impressionante la sua scena nel III Atto quando Dappertutto teme di perdere l’anima del poeta e si abbandona ad una collera che ha i tratti di una possessione) Esposito ha mostrato un’attenta declinazione drammatica e teatrale mediante una vocalità sempre assolutamente dominata ed al servizio del personaggio e della partitura.

In questa edizione le tre donne venivano interpretate da tre differenti artiste.

photo©Michele Crosera

Rocío Pérez ha tratteggiato un’Olympia tecnicamente corretta che, non limitandosi a risolvere il personaggio con mero virtuosismo, ne dava invece un taglio anche molto dolce, caldo e luminoso.

Antonia era Carmela Remigio, espressiva e teatrale quanto scenicamente sempre intensa e carismatica.

Veronique Gens ha reso in maniera piuttosto convenzionale ma corretta la sua Giulietta che qui aveva tratti molto simili alle dive del cinema anni trenta (Jean Harlow).

Ottima vocalmente quanto scenicamente Giuseppina Bridelli quale Nickalausse.

photo©Michele Crosera

Didier Pieri vestiva assai bene i panni dei quattro servitori (Andrès, Cochenille, Frantz, Pitichinaccio) in un’interpretazione sfaccettata e vincente.

Completavano bene il cast Paola Gardina (La Muse), Federica Giansanti (La Voix), Christian Collia (Nathanaël), François Piolino (Spalanzani), Yoann Dubruque (Hermann/Schlemill) e Francesco Milanese (Luther, Crespel).

Molto bene il Coro del Teatro La Fenice diretto da Alfonso Caiani.

Frédéric Chaslin ha diretto l’orchestra del Teatro La Fenice con una certa pesantezza nel gesto indulgendo in clangori eccessivi a scapito delle spume e vaporosità che caratterizzano questa partitura.

photo©Michele Crosera

Teatro gremito e successo pieno da parte del pubblico in sala e grandi ed entusiastici applausi per tutti gli interpreti anche se forse il più caldo è stato quello che ha accolto il Presidente Sergio Mattarella al suo ingresso in sala confermando l’affetto da cui è sempre circondato.

Silvia Campana

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