VERONA: Noche Española – 21 agosto 2024, a cura di Silvia Campana
Arena di Verona, 21 agosto 2024
Indubbiamente la serata Noche Española, inserita quest’anno nel calendario del Festival areniano, ha raggiunto un duplice obiettivo: la divulgazione di un genere tanto amato e popolare in tutti i paesi di area latina quanto ancora poco noto (a parte qualche romanza o duetto) a livello internazionale e la celebrazione di Placido Domingo.
L’artista infatti oltre a portare letteralmente nel suo DNA questo tipo di spettacolo (i suoi genitori furono due grandi interpreti del genere, la stessa madre Pepita Embil, è ricordata come “La Reina de la Zarzuela”) ha praticamente mosso i primi passi della sua lunga carriera (150 ruoli in repertorio) nell’anfiteatro areniano che calcò la prima volta nel lontano 1969 con Turandot.
La serata, fatte salve alcune ingenuità come la ricostruzione sul palcoscenico di una Carmen in miniatura utilizzando elementi scenici e costumi della produzione zeffirelliana che finivano per appiattire piuttosto che ampliare il significato dello spettacolo, si è mostrata nel suo complesso molto gradevole ed è stata salutata da un gioioso tripudio.
La spazio del palcoscenico areniano, al quale un intelligente gioco di luci contribuiva a donare arcaica solennità e magnetismo, si apriva così ad una grande festa in cui Placido Domingo (autentico responsabile della rinascita, specie discografica, della Zarzuela) veniva circondato da tutto il suo mondo, rappresentato anche da due colleghi quali il soprano madrileno Saioa Hernández e il tenore messicano Arturo Chacón Cruz impegnati nell’esecuzione di numerose pagine del repertorio tradizionale in un programma ricco e variegato che alternava ai brani vocali coinvolgenti pezzi orchestrali, spesso impreziositi da raffinati momenti di danza affidati alla trascinante esecuzione del corpo di ballo A.Gades.
Così le affascinanti malie di Gerónimo Giménez si affiancavano tra le altre a quelle di Jacinto Guerrero, José Serrano, Federico Moreno-Tortona, Isaac Albéniz, Fernandez Arbós, Pablo Sorozabál, Manuel De Falla e Manuel Penella coinvolgendo il pubblico in un viaggio ammaliante ed ancora di raro ascolto.
Un’operazione certo centrata sulla presenza del celebre artista ma che è riuscita dapprima ad incuriosire ed in seguito a coinvolgere il numeroso pubblico presente.
Placido Domingo ha confermato il suo grande carisma solcando nitidamente con il colore ancora intatto del timbro lo spazio areniano a testimonianza di quella classe interpretativa per la quale continua ad essere amato in tutto il mondo.
Completamente imperniata su di una cura estrema all’accento ed alla parola (cui i sovratitoli tentavano di dare corposità) la vocalità dell’artista si è mossa attraverso i brani solistici interpretati (Mi aldea da Los gavilanes di Jacinto Guerrero, Quiero desterrar da La del soto del parral di Reveriano Soutullo e Juan Vert, No puede ser da La tabernera del puerto di Pablo Sorozabál, Luche la fe por el triunfo da Luisa Fernanda di Federico Moreno-Torroba e come bis, Morena de mi copla di Villegas y Castellano e Ojos verdes di León y Quiroga) evidenziandone ogni sospiro e regalando intensa emozione ed innegabile commozione (specie nel suo ultimo bis Amor, vida de mi vida da Maravilla di Federico Moreno- Torroba). Ugualmente nei duetti (En mi tierra extremeña da Luisa Fernanda e Hace tiempo que vengo al taller da La del manojo de rosas con la Hernandez e Se fue, se fue la ingrata da Marina di Emilio Arrieta con Arturo Chacón Cruz) ha tratteggiato mirabilmente i caratteri interpretati comunicando al pubblico tutto il suo amore per questo particolare genere di spettacolo.
Accanto a lui ben si comportavano Saioa Hernández (¿Qué te importa que no venga? da Los claveles di José Serrano, Tres horas antes del día da La marchenera e, quale bis,
Juntô dende chavaliyô da El gato montés) e Arturo Chacón Cruz (Bella enamorada da El último romántico, De este apacible rincón de Madrid da Luisa Fernanda e, quale bis, La roca fría del Calvario da La Dolorosa) che eseguivano anche il duetto Amor, mi raza sabe conquistar da La leyenda del beso.
Ha chiuso il programma ufficiale del concerto (al quale sono seguiti, come sopra citato, numerosi bis) il celebre duetto (qui mutato opportunamente in terzetto) ¿Me llamabas, Rafaeliyo? da El gato montés di Manuel Penella.
L’ottima prova dei danzatori del Corpo di ballo A.Gades ha contribuito alla colorata nota folcloristica della serata.
Jordi Bernàcer ha diretto l’orchestra della Fondazione donando momenti di bell’intensità cromatica (Intermedio da La boda de Luis Alonso di Gerónimo Giménez, Fandango da Doña Francisquita di Amadeo Vives, Triana da Suite Iberia di Isaac Albéniz e Fernandez Arbós, Danza ritual del fuego da El amor brujo di Manuel De Falla , Preludio da La revoltosa di Ruperto Chapí, Orgía da Danzas fantásticas di Joaquín Turina e Farruca da El sombrero de tres picos di Manuel De Falla).
Applausi entusiastici per tutti gli artisti e autentiche ovazioni per l’amatissimo tenore … perché tale è comunque ancora per timbrica ed accento!
Silvia Campana