Würzburg: Les Vêpres siciliennes, 20 gennaio 2018
Giuseppe Verdi
Les Vêpres siciliennes
(I vespri siciliani)
direttore: Enrico Calesso
regia Matthew Ferraro
Personaggi e Interpreti:
- Hélène Claudia Sorokina
- Ninetta Barbara Schöller
- Henry Uwe Stickert
- Henry Aldo Di Toro
- Guy de Montfort Federico Longhi
- Jean Procida Igor Tsarkov
- Thibaut Björn Beyer
- Danieli Yong Bae Shin
- Mainfroid Mathew Habib
- Robert Taiyu Uchiyama
- Le Sire de Béthune David Hieronimi
- Le Comte de Vaudemont Hyeong-Joon Ha
- Mann am Klavier Anton Tremmel
Scene Matthew Ferraro
Costumi Carola Volle
Maestro del Coro Anton Tremmel
Drammaturgo Berthold Warnecke
a cura di Paolo T. Fiume
Una delle esperienze più intriganti e stimolanti nel seguire il teatro d’opera accade quando si ha la percezione di essere di fronte a qualcosa che trascende di molto in qualità le aspettative e sorge l’impressione che questo non sia ancora ben chiaro al resto del pubblico. Qualcosa di insieme veramente nuovo ed antichissimo, qualcosa che riscuote dal tepore a cui persino l’«ordinaria eccellenza» prima o poi conduce. Qualcosa che spinge a scommettere, ad allontanarsi dai saldi asfalti delle strade già tracciate, che poi non sono nemmeno sempre così saldi.
La prova di Enrico Calesso alla Fenice di poche settimane fa aveva lasciato un segno. Un di più, un punto speciale, quel poco e insieme tanto che serve per meritarsi un’attenzione particolare. Calesso, lo ricordiamo, è Generalmusikdirektor del Mainfranken Theater Würzburg dal 2011. Quale occasione migliore per sincerarsi di questa impressione positiva che la sua première di una delle opere più monumentali ed intriganti, quanto enigmatiche ed esigenti, del repertorio verdiano?
Les vêpres siciliennes, nell’originale versione in francese, sotto la bacchetta del giovane direttore trevigiano è un autentico miracolo di freschezza, intimità, couleur locale e precisione. È tutto chiarissimo fin dall’ouverture, pagina insieme abbastanza celebre ed impegnativa da risultare già quasi dirimente. Il gesto è millimetrico, enfatico e ben cesellato, mai sovrabbondante, mai autoreferenziale, e difatti la Philarmonisches Orchester Würzburg lo segue con prontezza, equilibrio e ardore. Le dinamiche sono sorprendenti per precisione, i fp-crescendo delle strette entusiasmanti. Il timbro è sempre studiato e corretto, qualità decisamente non semplici da raggiungere con una partitura dai tratti insieme nobili e popolari, europei e locali, festosi, malinconici e drammatici. La visione è di ampio respiro, e ne riluce il senso del fraseggio, curatissimo, dal micro- al macrocosmo musicale, dall’inciso più breve all’interezza di un atto. I tempi sono globalmente esemplari, sempre ottimamente a cavallo di quel filo di rasoio che divide la frenesia a scapito del cantabile e il fiacco che non è mai vera festa. L’unica eccezione forse è per la famosissima Sicilienne del quinto atto, veramente molto brillante, ma sarebbe sciocco fare le pulci e considerarlo un difetto in una prestazione di questa caratura. Ci auguriamo sinceramente di poterlo risentire presto in Italia, con una punta di invidia per il suo pubblico tedesco che lo apprezza – giustamente – con genuino ed affettuoso trasporto.
La vera stella del cast vocale è senza dubbio il baritono Federico Longhi. Dalla sua interpretazione esce un Guy de Montfort meravigliosamente complesso, indubbio cardine dell’opera. Se pure pensato per una vocalità differente, è un ruolo che ricorda molto Attila: il tema antieroico, la dannazione per la sola colpa di essere stato un condottiero vincente, il sincero dolore e la straordinaria coerenza negli affetti umani nobilitano e fanno compatire la figura di uno dei pochi padri verdiani che non susciti al meglio una spiccata disistima. Longhi ha una voce perfetta: il timbro, bellissimo, spazia con totale coerenza e ricchezza dal registro drammatico a quello più marcatamente lirico, con una grande facilità in acuto, sempre conservando proiezione ed ampiezza. Il controllo è eccellente e gli permette una pregevole omogeneità nelle mezze voci, raffinate e precise, fulcro autentico degli ottimi cantabili. Applauditissima la grande aria Au sein de la puissance del terzo atto. Ma non basta, perché è pure un eccellente attore, che concilia con efficacia le diverse anime di Montfort, che l’esercito vuole come bellicoso e impavido comandante, l’amore paterno come disperato e penitente, e pure la regia come più che smodato bevitore. La scena di riconciliazione con il figlio è commovente.
Ottima anche la Hélène di Claudia Sorokina, perfettamente in ruolo e dotata di un grande equilibrio timbrico, caldo e rotondo ma agile e piacevolmente squillante e cristallino negli acuti, pur conservandosi omogeneo e naturale nei passaggi. Un vero diamante la siciliana Merci, jeunes amies dell’ultimo atto.
Uwe Stickert ha una vocalità decisamente troppo leggera per il ruolo di Henri, e forse anche per i grandi ruoli tenorili verdiani in genere. Riesce comunque a ritagliarsi una prestazione di spessore, corretta e mai inadeguata, grazie a un bel timbro e alla facilità in acuto propria della sua tessitura, dimostrando che una voce efficacemente impostata, piacevole e libera da forzature risulta spesso migliore di altre magari pienamente in ruolo ma artefatte o spinte, fornendo una interpretazione più convincente, emozionante e fluida.
Il Jean Procida del giovane Igor Tsarkov è già molto buono, assistito da una voce di vero basso cantante e da una ottima presenza scenica. O tu, Palermo (cantata in italiano: scelta originale ma felicissima, dal momento che non si vede come mai un italiano che celebri il suolo natio a cui fa ritorno dovrebbe farlo in francese) è molto acclamata e in effetti manifesta una buona maturità e un bel colore. Si trova spesso in qualche difficoltà nelle zone estreme della tessitura, con acuti un po’ spinti e bassi non molto risonanti, ma l’ottima base timbrica dà grande fiducia sulle sue possibilità di perfezionare il suo mezzo già potente e valido.
Molto buono e sempre corretto tutto il resto del cast.
Lo spettacolo, a firma di Matthew Ferraro, è pacatamente tradizionale e piacevolmente scorrevole. Gli arredi, i costumi e gli oggetti di scena lo fanno datare ai primi anni del Novecento, in una Sicilia dalle tinte marine, insieme festante e teneramente malinconica. Abbastanza inconsueto per un grand-opéra, ma tutto sommato efficace, l’inserimento di elementi comici e talora quasi grotteschi: il Montfort impenitente alcolista, la festa del terzo atto che diventa un incontro di pugilato, il coro femminile dell’ultimo atto che alla stretta mostra la vera natura dell’innocente consesso di comari del matrimonio, con l’estrazione dalle sottane di armi di tutti i generi, a cui poi si uniscono popolani con zappe, roncole e forconi, in un insieme quantomeno pittoresco.
Belle le scene, semplici ma versatili, come pure i costumi di Carola Volles, e adeguate anche se un po’ monocordi le luci di Roger Vanoni.
Ottimo l’Opernchor und Extrachor des Mainfranken Theaters che differentemente dalla tradizione italiana si carica pure di un ruolo scenico che spazia agilmente dal movimento delle scene alla comparseria (geniale il pugile di Herbert Brand) conservando una grande compattezza musicale, un timbro solido e generoso e una fedele aderenza al direttore.
Ammirevole l’uso del Teatro di festeggiare la prima nel foyer, con un breve e simpatico intervento del sovrintendente e del direttore e un applauso anche per collaboratori e figure “dietro le quinte” non meno essenziali di chi, alla ribalta, si è guadagnato una meritatissima standing ovation.
Paolo T.Fiume